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Scritto da Natascha Lusenti

Oggi è un altro giorno e mentre leggo un articolo sul giornale penso alla prima volta che andai dal ginecologo. Avevo intorno ai 12 anni. Mia madre scelse il medico e non mi disse altro. Forse ci andai perché ero diventata una donna e ancora me lo ricordo, il giorno che ero diventata una donna. Me ne andavo in giro per casa ignorando mio fratello, benché guardandolo, con la coda dell’occhio, mi fosse parso di vedere in lui una certa curiosità per il mio stato. L’aveva detto mia madre, è stata lei a far girare in famiglia la voce che era accaduta una gran cosa e allora ci ho creduto anche io: ero diventata una donna. Perciò, credo, fui accompagnata dal ginecologo. Entrai da sola. Fu lui a volerlo e mi disse anche di prepararmi. Cosa intendeva dire? Me lo spiegò. Dopo qualche minuto, mi sdraiai sul lettino. Mi sentivo sporca e in colpa. Mentre aspettavo, guardavo quei due ferri che terminavano in una specie di cerchio. Sembravano dover sostenere qualcosa e avevano un’aria minacciosa. Uno a destra, uno a sinistra, in fondo al lettino. Avevano anche l’aria di essere freddi. E lo erano. L’ho scoperto quando il medico mi ha detto di mettere i piedi sopra quei due ferri. Uno a destra, uno a sinistra. Ricordo il terrore che mi invase le vene, ma mi avevano insegnato ad ubbidire e ho ubbidito. Ricordo la vergogna, perché era molto più fredda del ferro. Allora ho capito che mia madre si sbagliava. È stato in quel momento, infatti, e non prima, che sono diventata una donna.

(per le 53 madri di Busso, un villaggio nel sud-ovest dell’Etiopia, che hanno accettato di fare la loro prima visita ginecologica)