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LETTERA AI GENITORI DI UN BULLO

Carissimi mamma e papà di un bullo,

lo so che è difficile e soprattutto che non chiamereste mai così vostro figlio, lui no. Lui è un bravo ragazzo anche se ama scherzare. “Bullo” è un termine che hanno inventato gli studiosi per identificare i ragazzi e le ragazze con comportamenti violenti e prepotenti nei confronti dei loro coetanei, spesso a scuola. I giornalisti ci ricamano sopra, sanno che il fenomeno cattura l’attenzione specie ora con la diffusione dei video su internet. La cronaca nera attira lettori e telespettatori, li conquista, la gente ama parlare di eventi che mettono paura e che permettono di ergersi a giudici dei comportamenti altrui. Quanti arbitri ci sono in Italia? Quanti giudizi si formulano al bar prendendo un caffè?  Siamo così bravi a parlare, a mettere etichette. Bullo, vostro figlio proprio no. Quel bambino che avete cresciuto con tutto l’amore del mondo, che vi ha sempre riempito d’orgoglio per la sua forza e le sue capacità, così studioso e vincente non può certo essere un bullo.  Ammetterlo, per voi, sarebbe un fallimento, per lui una rovina, si rischia persino di perdere l’anno scolastico per una bravata finita sulle prime pagine dei giornali, un episodio di cui ha parlato anche Luciana Littizzetto nei suoi proclami televisivi. Come ha detto la comica? “Ma come si fa a non punirli? Ma certo che bisogna punirli. E lo dico da mamma di un figlio adolescente che non è uno stinco di santo. Non escludo che un giorno me lo mandino a casa, ma invece di difenderlo io gli do il resto. Non capisco i genitori”

Facile a dirsi vero? Voi invece li capite i genitori, anche io devo ammetterlo.  Come in quel caso che ha coinvolto un liceo scientifico di Cuneo. Lo ricordate, per caso?  Una gita scolastica a Roma, una scolaresca come tante. Accade una sera. In quattordici, tra ragazzi e ragazze, di età che oscilla tra i 15 e i 16 anni, prendono di mira un compagno.  Lo spogliano, lo depilano nelle zone intime, lo addobbano con le caramelle, i marshmallow, lo bruciano con un accendino e alla fine  – come è ormai tradizione delle malefatte giovanili – filmano tutto con il cellulare della vittima. Un trofeo. E’ dal video, più di uno in realtà, che la vicenda diventa di dominio pubblico quanto tornano a scuola. Partono le indagini interne della preside che ascolta i ragazzi, convoca i genitori e decide una punizione esemplare : quattro in condotta e da cinque a quindici giorni di sospensione, secondo i casi. Il che vuol dire perdere l’anno scolastico. La storia è diventata pubblica, uno dei genitori annuncia che farà ricorso contro il provvedimento, parla di una decisione presa per salvaguardare l’istituto,  (dove erano gli insegnanti che avrebbero dovuto vigilare sui ragazzi che erano stati loro affidati? ) altri si rivolgono al quotidiano “La Stampa” per giustificare gli studenti. Minimizzano, parlano di uno scherzo pesante. Non c’è mai stato bullismo dicono.  Una donna si fa portavoce del gruppo: “Parlo a nome di molte delle mamme, anche se non ho figli al liceo. State raccontando un caso che non esiste. Se c’è qualcosa di grave è che abbiano sospeso quattordici studenti e dato il quattro in condotta a tutti. Non li fanno neppure accedere ai programmi per prepararsi a casa. Significa condannarli ad essere bocciati, a perdere un anno di scuola. Una rovina per molti. Anche in termini economici, con quello che costa oggi frequentare un liceo”.  Replicano i genitori della vittima : “ Chi dice che è uno scherzo non sa nulla. Ci sono tre video: sono filmati terribili che un genitore non dovrebbe vedere mai. E c’è un referto medico sulle bruciature sulla gamba destra di mio figlio, oltre alle foto fatte dal professore quando ha visto quelle scritte e quelle bruciature sul suo corpo. Ma le scuse che non sono venute dagli altri genitori e dai ragazzi sono quello che fa più male.”

E il dibattito infuria. Alla preside arrivano e-mail di sostegno da tutt’Italia, plaudono alla sua decisione, uno dei ragazzi cambierà scuola, si cercano strumenti didattici per andare avanti. Il caso divide l’opinione pubblica, entrano in campo gli esperti. Una domanda su tutto :  “E’ più importante salvare un anno di scuola o educare i propri figli?” E qui il problema assume mille sfaccettature. Ricorda un romanzo di Herman Kock dal titolo “La cena”. Nel libro s’incontrano i genitori di due ragazzi che hanno ucciso, quasi per gioco, un barbone. Dovrebbero denunciarli o tentare di salvarli? Le posizioni delle famiglie sono diverse, oscillano tra la condanna e il perdono, tra il senso etico e la voglia di difendere i due ad ogni costo.  Ammettiamolo, almeno tra di noi. Ogni mamma e ogni papà farebbero qualsiasi cosa per un figlio. Ci sono quelli che di fronte a uno stupro evidente continuano a gettare la colpa sulla vittima, ci sono quelli che non riescono a perdonare al proprio bambino di aver agito così. Si antepone ciò che si considera la salvezza del ragazzo, in termini di consenso sociale al giudizio etico, alla punizione, dimenticando che sarebbe questo l’unico modo di aiutare veramente il giovane a crescere e a cambiare. E questo forse diventa il cuore della vicenda.  L’incapacità contemporanea di educare. Qualche decennio fa i genitori si sarebbero vergognati di avere un figlio bullo, lo avrebbero chiuso in casa per punizione, si sarebbero schierati dalla parte dei professori. Oggi invece il ragazzo viene considerato “esente da colpe”, libero di agire, coccolato e protetto da ogni qualsivoglia punizione o assunzione di responsabilità. Anche da questo nascono e prolificano i bulli, liberi di picchiare, di urinare persino sul più debole, di sentirsi invincibili, protetti da famiglie dove il bene materiale è assoluto. Vale più un anno di scuola dell’educazione, insomma.

Cari genitori, la gente parla bene quando non è coinvolta in prima persona. Però provate a mettervi nei panni del papà e della mamma dell’altro, della vittima: come vi sareste sentiti?  Cosa avreste pensato?  Vi giro la domanda, con affetto. Volevo anche ricordarvi che, secondo i dati, un ragazzo su tre in Italia è vittima di bullismo. Volevo farvi sapere che non siete soli, che non siete sbagliati, che non avete educato un mostro, ma che anche voi potete cambiare e crescere. Potete prendere per mano vostro figlio e spiegargli come ci si comporta, accompagnarlo a chiedere scusa all’altro ragazzo, ricominciare, sapendo che anche lui, il vostro bambino, probabilmente ha ancora molta strada da fare per crescere. Che è una vittima a sua volta. Ma che non diventerà mai una persona se non impara a rispettare gli altri

 

Stella Maggi