fbpx

GRETA, VANESSA E IL BEL PAESE

Chiede scusa all’Italia Greta con l’aria smarrita, clamore, flash, telecamere e voci ovunque, dopo quasi sei mesi di prigionia. “Non ha nulla di cui scusarsi” rilancia il padre di Vanessa,  discreto ma deciso e abbassa il sipario su una storia che ora torna a essere familiare, di ricongiungimento, di un nuovo inizio. Ma non sarà facile. Come al solito il Bel paese mostra il meglio di sé e si divide in polemiche infinite, anche di pessimo gusto, tra chi gioisce per il ritorno a casa delle ragazze e chi cerca pretesti, con finalità politiche, alimentando tensioni su un presunto riscatto e sulla loro presunta incoscienza, in extrema ratio sul loro essere donne, giovani e belle, dal volto pulito. Greta e Vanessa hanno 20 e 21 anni, sono studentesse e arrivano da Brembate e Verdello, piccoli paesi dell’hinterland lombardo e invece di andare a ballare, invece di cercare un lavoro come commesse o un marito da cui farsi mantenere, hanno seguito un sogno umanitario. Volevano portare viveri e aiuto a bambini deprivati di tutto, schiacciati da un conflitto che in Siria va avanti da più di tre anni e che non genera nel nostro paese lo stesso dibattito che hanno scatenato le due volontarie andando controcorrente. Hanno dato vita a un progetto “ Assistenza sanitaria in Siria. Horryaty”,  con un uomo più adulto, sono partite per portare amore e cibo, non armi come ora qualcuno rilancia ostinatamente per alimentare ulteriore tensione. Il giorno in cui sono state rapite non erano alla loro prima missione.  Tutti intervengono sul caso, persino Amnesty International, la grande associazione che si batte per i diritti umani, ricorda che per aiutare davvero bisogna avere le spalle coperte, che il volontariato non s’improvvisa, servono professionalità e organizzazione. Per non parlare della ridda di voci sui social network e delle accuse, più o meno velate alle due che culminano come sempre con quel “se la sono cercata. Non si fa.”

Non si cerca di cambiare il mondo insomma, Greta e Vanessa – dovevate saperlo -anche se avete proprio quella meravigliosa età in cui si pensa che tutto è possibile e che le crociate si possono fare, armate solo di buona volontà. Qualche volta si vince, lo sanno i ragazzi del ’68 e quelli del ’77, che si sono impegnati per modificare regole che sembravano monoliti. Lo sanno le donne che hanno portato avanti il femminismo, i preti operai, i missionari, i volontari di tante associazioni religiose e laiche, tutti coloro che s’impegnano per qualcosa. E che, in questi passaggi rischiano sempre la vita come le tre suore missionari italiane uccise a settembre in Burundi. Un rischio che forse nemmeno pensavano di correre, alla loro età, amate dalla gente che stavano cercando di aiutare. Lo ha imparato a sue spese Pippa Bacca che girava il mondo vestita con un abito lungo bianco, attraversando in autostop undici paesi in guerra per portare avanti la sua proposta di pace.  La performance “Spose in viaggio” finì tragicamente,  Pippa venne violentata e uccisa dall’uomo che le aveva dato un passaggio a Gebze, il 31 marzo del 2008.  Aveva 33 anni ed era un’artista, la sua morte scosse l’opinione pubblica in Italia e in Turchia. Ma portava nel suo abito un’idea di pace e amore. Più lontano nel tempo, siamo al 2003, fu un’attivista americana, Rachel Corrie, a perdere la vita dietro a un altro sogno a soli 23 anni. Stava cercando di impedire, insieme ad altri ragazzi, la demolizione di alcune casa a Rafah, lungo la striscia di Gaza. Fu travolta da un bulldozer.  Il processo stabilì che si era messa da sola in una situazione di pericolo, la sua morte era il risultato di un incidente che lei stessa aveva creato e soprattutto il conducente del mezzo non l’aveva vista. Ma il suo nome è diventato una bandiera.  Perché il mondo si cambia poco per volta,  cercando le soluzioni in gesti concreti, anche piccoli ma significativi. E’ questo ora che non vi si perdona, care ragazze, il fatto di aver cercato di realizzare un sogno, di essere vive, di avere ideali, di impegnarvi davvero e non lasciarvi vivere, come fanno la maggior parte delle persone che oggi vi criticano, comodamente sedute a casa. In tempi di emozioni e sentimenti liquidi, in tempi in cui gli ideali non esistono più, quei vostri 20 anni dispettosi sono uno pugno diretto a chi non ha nulla da proporre. “Il senso della loro storia è in quel loro impegno, andare ad aiutare gli altri in un luogo pericoloso del mondo è la cosa più straordinaria che ognuno di noi possa fare” dice il giornalista Domenico Quirico, passato attraverso l’esperienza del rapimento solo perché era un giornalista. Cinque mesi, anche lui, in Siria.  A lui nessuno ha detto  che se l’è cercata, come non è stato detto ai tanti giornalisti uccisi, decapitati, massacrati nei paesi in guerra. Molti erano free lance, come Austin Tice del quale non si hanno più notizie da quasi tre anni.

Quanto al riscatto, che sia stato pagato o meno, è un problema che non riguarda le due ragazze. Loro non hanno chiesto nulla. Questo è un discorso politico che riguarda il paese . Ma non possiamo non chiederci : sarebbe stato diverso se fossero state due uomini? Ci sarebbe stato uno sguardo meno critico, un pregiudizio meno forte? Le donne certe cose non le fanno, sono più esposte a violenze e ricatti, a stupri, sanno difendersi meno. Dovrebbero restare a casa, in patria, “il volontariato – dicono molti- si può fare anche in Italia.” Difficile, dunque, ancora una volta, strappare dalla pelle italica il maschilismo di fondo, impietoso e strisciante, di chi pensa che essere donne, giovani donne, sia un limite. Una volta tornate a casa Greta e Vanessa sono diventate dei bersagli da colpire, condannare, accusare. Dovevano forse morire ? Allora sì, sarebbero state delle eroine.  Ma non è questo di cui abbiamo bisogno. “ Non tornerò in Siria – ha detto Greta – ma loro devono essere aiutati, la situazione lì è insostenibile.” Nessuno che l’abbia ascoltata. Almeno per il momento

Stella Maggi