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Scritto da Natascha Lusenti

Oggi è un altro giorno di una settimana in cui un padre e una figlia hanno affrontato un esame del Dna da mettere agli atti nel procedimento giudiziario in cui una ragazza di 16 anni accusa di stupro cinque ragazzi a cui era legata dal vincolo dell’amicizia. Non conosco il nome della ragazza, ma la sua età mi colpisce e mi ricorda un pomeriggio di primavera. Avevo, appunto, 16 anni. Camminavo su un viale alberato. Portavo una gonna molto corta e per la prima volta mi sentivo femmina. Non avevo mai avuto una gonna così corta. Viola, di maglina, a coste sottili. Camminavo a passo svelto, come al mio solito. Dovevo avere l’odore di una vergine che è uscita di casa senza avvertire. Superai un uomo. Non ricordo quanti anni aveva, ma non mi sembrava così vecchio da non considerarlo un maschio. Anzi, la memoria mi restituisce quell’azione come un gesto di sfida: ti camminerò davanti, dovrai guardarmi e io saprò di cosa ti faccio venire voglia. Mi ricordo la voce, sussurrata: sei tutta da stuprare. Me lo disse proprio mentre lo affiancavo con le gambe lunghe e nude che conquistavano il selciato. Sulla schiena sentii un brivido. Di paura. Di eccitazione. Mi chiesi fin dove poteva vedermi, quanti centimetri della mia pelle gli stavo concedendo. Poi mi sentii in colpa e mi ricordai di mio padre che si era arrabbiato con mia madre perché secondo lui non potevo andare a scuola con una gonna così corta. È stato in quel momento che ho deciso che avrei continuato a portare le gonne corte o lunghe, come mi pareva. E che i maschi sono predatori e bisogna stare in guardia. Oggi mi vengono in mente le parole di Camille Paglia quando dice che se non vuoi rischiare di essere stuprata, puoi startene a casa con la mamma a limarti le unghie. È una frase cruda, come la realtà quando sei da sola e nessuno può aiutarti. È una frase violenta, come quando ti sbattono sul cofano di un’auto in un parco in mezzo al nulla e tu sei sicura che ora abuseranno di te. O potrebbe succedere in un bagno, ad una festa, con dei ragazzi che consideri tuoi amici. È una frase che dice la verità su noi ragazze: se te ne vai per il mondo, corri dei rischi e potrebbe succedere qualcosa di brutto, ma tu non devi provare vergogna perché non fai niente di sbagliato. Perciò ho ritagliato la lettera di quel padre a sua figlia, perché dice che è fiero di lei che ha affrontato il sospetto della gente di essersela cercata. La gente, se ti succede qualcosa di brutto, pensa che una ragazza farebbe meglio a stare a casa con la mamma a limarsi le unghie. Io voglio bene a mia madre e mi capita di limarmi le unghie, ma non ho mai rinunciato a vedere il mondo.

(per una ragazza di Modena e per i suoi genitori)